giovedì 6 ottobre 2016

SE 70 ANNI VI SEMBRANO POCHI. TERRA E LIBERTA' AL POPOLO PALESTINESE




di Agostino Spataro

1... I governanti israeliani hanno ordinato il blocco in mare della “barca della libertà” (Zeitouna-Oliva) e l’arresto delle tredici coraggiose donne dell’equipaggio che stavano portando solidarietà alla popolazione di Gaza, di fatto prigioniera sulla propria Terra.
Per non farsi mancare nulla, l’aviazione israeliana, profittando della confusione, ha scatenato alcuni micidiali raid su Gaza e altre località della “Striscia”.
Si ripete un vecchio copione intriso di violenza e d’ingiustizia, mirato a vanificare gli sforzi di pace per giungere alla soluzione dei “due popoli e due Stati” proposta dall’Onu.
Com’è noto, il primo tentativo di forzare il blocco israeliano dei Territori Occupati fu fatto nel febbraio del 1988 con la “Nave del Ritorno” dei profughi palestinesi che desideravano, appunto, ritornare nelle loro case e nelle loro terre.
Attenzione. Volevano, vogliono tornare nelle loro case, nella loro Terra da cui sono stati cacciati dagli eserciti di occupazione israeliani. Non vogliono andare in altri Paesi, ma nel loro!
Evidentemente, ci sono profughi e profughi. Ci sono quelli che possono venire in Europa ed essere accolti con spirito umanitario e quelli come i palestinesi cui viene impedito, con la violenza, di ritornare nelle case avite. Due pesi e due misure: è il minimo che si possa dire.

2... Come si può rilevare dal sottostante articolo de “Il Manifesto” e in altro correlato pubblicato su “Agoravox.it”, anch'io avrei dovuto imbarcarmi sulla “Nave del Ritorno”, unitamente ad altri rappresentanti politici e parlamentari di varie nazionalità, a giornalisti e a diverse centinaia di profughi convenuti ad Atene per l’imbarco.
Stavamo andando all’aeroporto di Atene diretti a Limassol, nel cui porto era ancorata la nostra “Nave”, quando giunse il contrordine.
Poche ore prima, gli israeliani avevano fatto saltare in aria la Nave e con essa la speranza del ritorno.
Che dire? Dopo 70 anni, questo micidiale conflitto deve essere chiuso con un equo accordo di pace. 70 anni! Sono davvero troppi e insopportabili, per chiunque! Un tempo lunghissimo. Più di tre generazioni, più di quello in cui si svolsero le tre guerre d'indipendenza italiane. 
Per capire, ognuno cerchi di mettersi nei panni di un/una palestinese.
Nel mio piccolo, quasi sempre per conto del PCI, ho solidarizzato con il popolo martire di Palestina ossia in favore della parte più debole, oppressa del conflitto. 
Non per partito preso, ma perché non riesco a solidarizzare con gli occupanti!
Come abbiamo condannato senza riserve i nazi-fascisti responsabili dello sterminio degli ebrei, degli zingari e- se permettete- dei comunisti e di tanti esponenti della sinistra europea.
Quindi, non si accettano lezioni di “antisemitismo”. Da nessuno. Non ne abbiamo bisogno. 
Capisco benissimo la tragedia della Shoa. Mio padre, un operaio siciliano per due anni internato in un lager nazista, in Germania, mi ha raccontato quel che ha visto e patito insieme ai suoi compagni di sventura.

3… Perciò, credo che, anche nelle mutate condizioni, ognuno debba pretendere dai rispettivi governi un'azione risolutiva per assicurare al popolo palestinese uno Stato sovrano, secondo il “piano di spartizione” del 1947 varato dall’Onu e come richiesto da diverse sue risoluzioni. 
E come é giusto che sia, dopo 70 anni!.
Due popoli e due Stati nella pacifica convivenza e cooperazione. Non c’è altra via.
Se questo non si vuol fare, si lascerà incancrenire un conflitto sanguinoso e lungo che provoca vittime innocenti da ambo le parti, mina la pace, la stabilità e il sistema delle relazioni economiche e commerciali del Medio Oriente e dell’area mediterranea.
La fabbrica dei profughi, dei disperati continuerà a produrre a pieno ritmo. Coninueranno a essere  orientati verso l'Europa, in preda a una gravissima crisi economica, politica e demografica, e mai verso i Paesi- fratelli del Golfo, ricchissimi di petrolio e di petrodollari e con vasto territori disabitati.
Chissà perché? 
Nessuno s’illuda di risolvere il conflitto con i bombardamenti, con gli arresti, con le colonie abusive, con gli assassini mirati e, d’altro canto, nemmeno con inaccettabili azioni terroristiche. A mio avviso, solo un dialogo, paritario e diretto, sotto l'egida delle Nazioni Unite, potrà portare a un accordo di pace reciprocamente vantaggioso, nella sicurezza e nella cooperazione.
(Agostino Spataro, 7 ott. 2016, direttore: www.infomedi.it)

Allegati:
(dall’articolo di Michele Giorgio,  Gerusalemme 30.04.2014)
… La storia dell’occupazione dei Territori è fatta di non poche “esplosioni misteriose” su navi e battelli palestinesi. «Un’esplosione è avvenuta oggi su un grosso battello all’ancora nel porto cipriota di Limassol…Il grosso battello era stato venduto sabato pare a palestinesi. Non viene del tutto escluso che esso fosse la ‘Nave del Ritorno’, sulla quale l’Olp programmava di riportare un gruppo di palestinesi in Israele.
L’esplosione non ha causato vittime ma danni molto gravi». Così l’agenzia Ansa scriveva il 15 febbraio del 1988 a proposito dell’attentato alla nave che, nel pieno della prima Intifada, doveva riportare nella terra d’origine 131 tra profughi e deportati palestinesi. Su quella nave, ben più grande dell’Arca di Gaza, dovevano salire anche diversi giornalisti e parlamentari italiani, tra i quali il comunista Agostino Spataro che, qualche anno fa, ha ricordato quei giorni in attesa di un viaggio che non sarebbe mai avvenuto. «Ad accompagnare (gli esiliati) in questa pericolosa missione – ha scritto Spataro nel 2010 – che il governo (del premier israeliano Yitzhak) Shamir considerava una compagnia di assassini da bloccare con ogni mezzo, c’erano centinaia di rappresentanti di partiti, sindacati, giornalisti, di associazioni umanitarie e pacifiste di molti paesi in gran parte europei e occidentali. Sapevamo che oltre alla solidarietà la nostra funzione su quella nave sarebbe stata anche quella di scudo umano per scoraggiare la reazione violenta degli israeliani».
La “Nave del Ritorno” non partì mai, per le pressioni di Tel Aviv su Atene e per la “misteriosa esplosione” simile a quella che l’altra notte ha quasi affondato l’Arca di Gaza. Eppure, come dice Ehab Lotayef, una bomba non può fermare un movimento e, più di tutto, non può spegnere un sogno di libertà.
Articolo correlato: http://www.agoravox.it/Assalto-israeliano-C-e-un.html


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